Balcani: è tempo di decidere
Intervento al convegno UE-Balcani: la sfida dell'allargamento
10 set 2020
Ringrazio il Commissario Vàrhélyi e il Ministro Amendola per aver accolto il mio invito a questo momento di confronto pubblico su un tema rilevante per l'Europa e per l'Italia.
Quando 24 anni fa con la pace di Dayton si mise fine alle guerre balcaniche - le uniche guerre conosciuta dall'Europa dal '45 ad oggi - e si riconobbero le nuove nazioni indipendenti sorte sulle ceneri della Jugoslavia, la comunità internazionale indicò nella loro integrazione nelle istituzioni euro atlantiche l'obiettivo strategico per dare stabilità e sicurezza alla regione balcanica. Una regione - è bene ricordarlo - punto di incontro/scontro tra est e ovest, per secoli terra di invasioni, luogo di coesistenza difficile tra cristianità - cattolica e ortodossa- e mondo musulmano, crogiuolo di popoli e nazionalità e per questo esposta a continue conflittualità, da cui il termine "balcanizzazione" a indicare una condizione di frammentazione conflittuale.
Di fronte a una identità così complessa spesso sorge la domanda "ma perché dobbiamo integrare paesi così rischiosi?" La risposta sta nelle cose. È l'integrazione che può ancorare stabilmente la Serbia all'Europa, sanando la ferita dei bombardamenti Nato del '99. E' la prospettiva dell'integrazione che ha spinto Fyrom all'accordo con la Grecia sulla
denominazione "Nord Macedonia". È l'ingresso in Europa che può convincere Belgrado e Pristina a normalizzare i loro rapporti. L'integrazione è essenziale per consentire alla Bosnia Erzegovina di consolidare la sua identità statuale pluricomunitaria, sempre esposta a rischi di separazioni. Ed è l'integrazione che può offrire all'Albania la possibilità superare la aspra conflittualità interna. Ed è la prospettiva della integrazione a sollecitare i Paesi candidati ad
ottemperare alle condizioni previste per l'adesione, compresa l'adozione di standard europei essenziali per la tutela delle tante minoranze che vivono nei Balcani.
D'altra parte il percorso di integrazione è stato avviato. Dal Consiglio Europeo di Salonicco (2003) fino alla adozione della "Strategia per l'integrazione dei Balcani occidentali" e alla Dichiarazione di Sofia dei Capi di Governo (2018), l'UE ha ripetutamente
dichiarato di voler l'inclusione della regione. E dopo aver integrato Slovenia, Bulgaria, Romania e Croazia, ha avviato i negoziati con Serbia e Montenegro, ha accolto la richiesta di aprirli di Albania e Macedonia (e su cui il Consiglio si è impegnato a decidere a ottobre) e ha riconosciuto a Bosnia e Kossovo il titolo di "potenziali candidati" subordinando i successivi passi alla loro stabilizzazione politica.
A sua volta la NATO ha aperto le sue porte a Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro e quest'anno a Nord Macedonia.
In funzione dell'integrazione è stata rilanciata l'Iniziativa Centro Europea (Ince) che include tutti i 18 Paesi dell'Europa centrale e sudorientale. Nel 2000, promossa dall'Italia, è nata l'Iniziativa Adriatico-Ionica. Da ultimo si è attivato il "Processo di Berlino".
Tuttavia, la crisi economica che ha colpito l'Europa e le molte turbolenze vissute in questi anni dall'Unione Europea - da Brexit alle spinte centrifughe dei Paesi di Visegrad, dalla crisi ucraina alla emergenza migranti - hanno via via dilazionato l'accoglimento delle nazioni balcaniche a tempi indefiniti e l'Unione continua a oscillare tra promesse di adesione e
indeterminatezza di decisioni.
Le negative conseguenze di questa assenza di certezze sono già oggi visibili. Delusione e frustrazione si manifestano tanto nelle cancellerie dei Paesi balcanici quanto nelle loro
opinioni pubbliche, favorendo il riemergere di pulsioni nazionalistiche che già tante tragedie hanno provocato in quelle terre. Ne' va mai dimenticato che i Balcani si affacciano su quel
Mediterraneo percorso da molteplici crisi. Peraltro la crescente presenza di Russia, Cina e Turchia sottolinea l'importanza della regione negli equilibri geopolitici del Sud Europa e del Mediterraneo.
Per l'Italia in particolare i Balcani sono un'area di interesse strategico. Fin dal 1995 il nostro Paese ha contribuito alla missione di stabilizzazione K-For (di cui abbiamo oggi la guida).
Siamo il secondo partner commerciale della regione, il primo per stock di investimenti e un export di 6 miliardi di euro, con migliaia di imprese operanti su quei mercati. Lungo i Balcani corrono flussi migratori che approdano in parte in Italia e richiedono strategie condivise di
governo delle migrazioni e di contrasto alla illegalità e al traffico di migranti. L'Italia - come
ribadito dalla Risoluzione approvata all'unanimità in Commissione Esteri della Camera - è dunque chiamata a svolgere il ruolo di partner dei Paesi balcanici, accompagnandoli nel loro
percorso di integrazione.
È perciò essenziale che l'Unione Europea esca dalle sue incertezze, indicando una road map, gli step progressivi, le modalità (anche innovandole) e i tempi con cui dare risposta alle aspirazioni di quei popoli. A 100 anni dalla prima guerra mondiale - che proprio a
Sarajevo ebbe la sua miccia esplosiva - e' tempo che i Balcani siano e si sentano parte integrante della famiglia europea.
Siamo lieti di avere la possibilità di confrontarci su questi temi con il Commissario Vàrhélyi, così come la presenza del Ministro Amendola che ci consente di approfondire le strategie e le politiche con cui l'Italia accompagna i Paesi di Balcani occidentali nel loro percorso di adesione all'Unione Europea.
Piero Fassino
Presidente della Commissione Esteri della Camera