LA DEMAGOGIA COME AZIONE DI GOVERNO
“Volete essere voi a decidere o volete lasciare ai partiti di decidere per voi” con queste parole la Presidente Meloni si è rivolta agli italiani per illustrare la sua proposta di elezione diretta del premier.
Parole di stampo populista che francamente stupiscono pronunciate da una donna che è giunta alla guida del Paese percorrendo l’intera sua carriera politica in un partito. Vale la pena di ripercorrerla. A soli 15 anni si iscrive al Fronte della Gioventù organizzazione giovanile del MSI. Nel 1996 guida Azione Studentesca, organizzazione di Alleanza Nazionale. Dal 2001 Coordinatrice di Azione Giovani di Alleanza Nazionale, di cui diviene Presidente nel 2004. Nel 2006 entra alla Camera dei Deputati dove sarà eletta in tutte le successive legislature fino ad oggi. Dal 2006 al 2008 Vicepresidente della Camera. Dal 2008 al 2011 Ministro della Gioventù. Nel 2015 fonda Fratelli d’Italia di cui diviene Presidente. Insomma la Presidente Meloni è nata in un partito, è cresciuta in un partito, si è formata come dirigente in un partito, ha precorso tutta la sua carriera politica nel partito e al culmine ha un fondato un partito. Che oggi si rivolga agli italiani svilendo i partiti e chiedendo un’investitura plebiscitaria dimostra una notevole dose di spregiudicatezza. Peraltro coerentemente con un impianto populista propone una elezione diretta del premier in un rapporto diretto leader-popolo che mortifica il Parlamento e azzera qualsiasi funzione dei partiti. Lo può fare perché veniamo da anni di crisi della democrazia rappresentativa. I molti e radicali mutamenti che ridisegnano il profilo della nostra società e le criticità degli ultimi quindici anni - dalla crisi economica alla pandemia alle guerre alle porte di casa - hanno messo in causa certezze di vita (il lavoro, il reddito, il futuro dei figli) provocando in molti cittadini smarrimento, insicurezza, paura. E la politica è apparsa incapace di offrire quelle rassicurazioni che ciascuno vuole per guardare con serenità’ alla vita propria e della propria famiglia. Una crisi che ha colpito in particolare proprio le istituzioni (il Parlamento, le assemblee elettive) e i soggetti di rappresentanza (i partiti, i sindacati, le associazioni professionali e di categoria). La fragilità di cui soffrono tutti i partiti e l’aumento dell’astensione nonché la quantità di elettori che, pur votando, a ogni elezione cambia il destinatario del voto, sono la manifestazione plastica di questa crisi. Uno scenario in cui ha facile presa la suggestione di un uomo o una donna sola al comando, fondata sull’illusione che far tabula rasa della intelaiatura istituzionale e politica consenta la risoluzione dei problemi. Sappiamo che in realtà è davvero una grande illusione e tuttavia il consenso raccolto da partiti e movimenti populisti e anti-partito - non solo in Italia, ma in tanti paesi democratici - dice che non basta denunciarla. La crisi della democrazia rappresentativa interroga in primo luogo proprio chi crede nella democrazia, sollecitando a mettere in campo quelle riforme - sia istituzionali, sia economiche e sociali, sia nei rapporti cittadino-politica - che riconquistino la fiducia dei cittadini e restituiscano loro una effettiva possibilità di decidere e scegliere. È questo il terreno su cui contrastare le proposte populiste che oggi il governo Meloni presenta, tanto più che la suggestione demagogica non si manifesta solo sul fronte istituzionale. Basterebbe pensare all’accordo con l’Albania: dopo che 130.000 sbarchi in dieci mesi hanno clamorosamente smentito la velleità del “non facciamoli partire”, ci si inventa di farli sbarcare in Albania per poter dire agli italiani “non arrivano più qui”. Il che è contraddetto dalle barche che continuano ad approdare alle nostre coste. Oppure, facendo credere agli italiani che la loro sicurezza sarà tutelata con l’inasprimento delle pene, l’estensione della carcerazione e autorizzando gli addetti alle forze di polizia ad essere armati anche fuori servizio, lisciando il pelo alle pulsioni “law and order” così care alla destra di tutto il mondo. Oppure come si magnifica ai cittadini una legge di bilancio che - a parte la riduzione del cuneo fiscale - è misera, per espressa ammissione del Ministro dell’economia e delle finanze, e taglia pesantemente sanità e welfare, non sostiene le imprese, ignora totalmente scuola e cultura, non prevede investimenti infrastrutturali. Oppure - è di questi giorni - come si vieta la produzione di carne coltivata, pur di raccogliere consenso abbracciando tesi antiscientifiche e oscurantiste e evocando rischi infondati. Oppure ancora, come si propone un progetto di autonomia differenziata che - non prevedendo livelli uniformi di prestazioni - trasforma una legittima domanda di autonomia di Regioni e Comuni in maggiore disuguaglianza tra territori e comunità locali. Oppure come la Presidente del Consiglio vanta strumentalmente “l’essere donna” per coprire politiche in realtà retrive sui diritti delle donne e delle famiglie. Tutto ciò non stupisca. Basterebbe riascoltare gli interventi svolti alla Camera nelle molte legislature in cui l’on. Meloni sedeva sui banchi dell’opposizione per constatare che la demagogia antipartitica è la sua cifra. Una demagogia che può provocare molti danni al Paese e agli italiani. E che per questo sollecita l’opposizione ad accelerare la costruzione di una proposta democratica alternativa in cui gli italiani possano riconoscersi.
Piero Fassino
18 novembre 2023
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