NON È SOLO UN MAL FRANCESE
Un incendio sociale devastante ha investito nei giorni scorsi la Francia. L'uccisione di Nahel - un giovane di periferia di 16 anni - per non essersi fermato a un controllo di polizia ha fatto da detonatore esplosivo ad una situazione di disgregazione sociale che da anni segna le banlieues di Parigi, Marsiglia e di molte città francesi. Periferie desolate, abitate in gran parte da popolazione immigrata dalle antiche colonie del Maghreb e dell'Africa equatoriale, là dove vivono una condizione quotidiana di marginalità e precarietà quegli adolescenti di 15/17 anni protagonisti delle violente manifestazioni dei giorni scorsi.
E se i loro padri e i nonni hanno a suo tempo vissuto l'approdo in terra francese come il luogo in cui trovare certezze di vita - anche quando faticose e povere - non così i loro figli e nipoti, i cosiddetti beurs, che non si sono mai sentiti davvero accettati dalla società e hanno vissuto soltanto l' "integrazione della marginalità." Una situazione a cui si contrappone un diffuso e radicato sentimento di ostilità, pregiudizio e rancore di una parte non minore della società francese. Dice molto che la colletta organizzata a favore dell'agente di polizia che ha ucciso Nahel abbia raccolto una quantità di denaro cinque volte superiore ai fondi raccolti dalla colletta promossa dagli amici di Nahel. C’è una Francia metropolitana moderna, cosmopolita, liberale, democratica che da sempre è simbolo di libertà, stato di diritto, accoglienza. Ma c'è anche una Francia - non solo rurale, anche delle periferie urbane - percorsa da pulsioni populiste, nazionaliste, antistatali - ricordiamoci i Gilet gialli - che ha visto negli anni la riduzione delle proprie condizioni di reddito e di vita e vede negli immigrati un'insidia non solo alla sicurezza, ma anche alla propria identità. E tuttavia si sbaglierebbe a leggere quel che è accaduto Oltralpe solo come un fatto francese. Sono di queste ore le dimissioni del primo ministro olandese Rutte caduto su una legge per i ricongiungimenti familiari dei richiedenti asilo. Cavalcando la paura degli stranieri ha vinto le elezioni - per la prima volta - in due Comuni tedeschi il partito di estrema destra AFD, oggi accreditato nei sondaggi come secondo partito nazionale con il 20%. Nella campagna elettorale in corso in Spagna il partito estremista Vox - alleato al PPE già in molte regioni - si propone agli elettori come il garante della hispanidad contro la "contaminazione" straniera. In Grecia la "mano dura" verso i migranti è stata una delle ragioni del successo della destra di Mitsotakis. Per non parlare dell'Ungheria di Orban e della Polonia di Morawiecki che fanno del rifiuto degli stranieri il cuore della loro politica. Insomma, pur con modalità e intensità diverse, in tutta Europa il tema della integrazione multiculturale, della convivenza multietnica, della effettiva uguaglianza dei diritti e delle opportunità per ogni individuo - quale che sia il colore della sua pelle e il dio che prega - entra in cortocircuito con l'espansione delle povertà, la crisi dei ceti medi, il venir meno di sicurezze acquisite, suscitando paure, ripiegamenti identitari, istanze corporative che spingono molti a guardare a destra. Che tutto questo cozzi con dinamiche demografiche che richiedono necessariamente di colmare con flussi migratori la diminuzione di 70 milioni di cittadini che l'Europa conoscerà di qui a fine secolo, non appare sufficiente a placare pulsioni e ostilità verso gli immigrati. E ciò vale anche per l'Italia, che dopo una lunga storia di emigrazione, negli ultimi trent'anni è divenuta terra di immigrazione. Così come anche nel nostro Paese una vasta area di cittadini conosce da anni riduzioni di reddito, di tenore di vita, di sicurezze quotidiane che spinge a ricercare protezione a destra. Ma anche in Italia viviamo il paradosso di una destra che, dopo aver sbandierato blocchi navali, blindature di confini, difesa della purezza italica, adotta in questi giorni un decreto flussi che apre le porte dell'Italia a 500 mila migranti nei prossimi tre anni. Ma lo fa nel silenzio più assoluto per non dover smentire la propaganda nazionalista e populista con cui la destra ha intossicato la convivenza civile sollecitando istinti di chiusura e di rifiuto. Quel che è accaduto in Francia, dunque, parla anche a noi e ci richiama alla urgenza di rimettere al centro della politica il contrasto alle troppe forme di marginalità, insicurezza e disuguaglianze per affermare e far vivere coesione sociale, redistribuzione della ricchezza, certezze di vita, futuro dei figli, uguaglianza di diritti e opportunità, convivenza e integrazione. Da questo deve ripartire una politica che voglia riconquistare fiducia e speranza. Ed è un compito che chiama all'azione e alla responsabilità prima di tutto la sinistra e le forze democratiche.
Piero Fassino
8 luglio 2023
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