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IL GUASTATORE
"Chi volontariamente provoca danni, sabota, distrugge, dissipa": così il vocabolario definisce il "guastatore". In linguaggio militare è il soldato che mina i ponti, inquina i pozzi, interrompe le comunicazioni e falsifica i messaggi, organizza sabotaggi nelle retrovie del nemico.
Non c'è definizione più appropriata per definire Donald Trump: un "presidente guastatore" che scientemente sta dissestando il mondo e i suoi assetti. Una strategia fondata su tre atti in sequenza: cogliere di sorpresa con proposte o dichiarazioni imprevedibili; imporre così la Agenda obbligando a giocare sul terreno da lui scelto; imporre un negoziato alle sue condizioni, traendone il massimo beneficio, soprattutto in termini economico-commerciali. Gli esempi non mancano: minacciare l'occupazione del Canale di Panama per ottenere tariffe di transito più basse; proporre l'annessione della Groenlandia per ottenere l'accesso alle sue risorse idriche e alle terre rare; annunciare dazi alle importazioni facendo pagare la riduzione del debito americano alle imprese europee; sfidare Canada e Messico per ottenere vantaggi nella rinegoziazione dell'area di libero scambio; trasformare Gaza in una Abu Dhabi mediterranea con investimenti immobiliari gestiti dal genero; minacciare la interruzione delle forniture militari all'Ucraina se Kiev non concede agli Stati Uniti l'utilizzo delle terre rare. Una strategia ancor più brutale sui dossier più delicati di politica estera: la ricerca spasmodica di un'intesa con Putin concedendogli tutto quel che il presidente russo vuole e costringendo l'Ucraina a subire una pace ingiusta; la espulsione dei Palestinesi da Gaza, spalleggiando Netanyahu nel rifiuto di accettare una pace fondata sulla convivenza; la dichiarazione di indifferenza di fronte alle ricorrenti minacce di Pechino alla indipendenza di Taiwan; la destabilizzazione delle istituzioni multilaterali con l'abbandono di OMS, degli Accordi di Parigi sul clima, dal Consiglio ONU sui diritti umani, dalla normativa OCSE sulla tassazione delle transazioni internazionali e la marginalizzazione dell'ONU, da cui un gruppo di senatori repubblicani ha chiesto l'uscita (senza che la Casa Bianca abbia smentito). Trump non crede in una governance multilaterale e tanto meno in un ruolo delle istituzioni sovranazionali. Per l'inquilino della Casa Bianca l'ordine internazionale deve essere fondato su rapporti di forza, sfere di influenza, sovranità limitate e una concertazione di convenienze tra i grandi players globali: Stati Uniti, Cina, Russia, India e pochi altri. Uno scenario in cui l'Unione europea non solo non c'è, ma viene esplicitamente negata, definendola un danno per gli Stati Uniti, minacciando di colpirla con dazi, negandole qualsiasi ruolo nella crisi ucraina. E dissestando così quel rapporto transatlantico che da ottant'anni è il pilastro dell’Occidente e della sua coesione. Una sfida a cui l'Europa non può non rispondere pena la sua sparizione. E la risposta non può che essere la strada che Mario Draghi ha indicato: un deciso salto in avanti nella integrazione europea delle principali politiche, dalla politica estera alla politica di difesa, dalle strategie ambientali e energetiche allo sviluppo delle grandi reti materiali e digitali, dai diritti di cittadinanza alle politiche migratorie, dagli investimenti in ricerca alla gestione delle frontiere tecnologiche e dell'intelligenza artificiale. Insomma: un'Europa che si comporti come uno "Stato unico", espressione che fa sobbalzare i sovranisti, ma che definisce con chiarezza l'unico orizzonte che consenta all'Europa di mantenere la propria prosperità e di svolgere un ruolo sulla scena internazionale. E ancora di più in queste ore risuonano come un pressante monito le parole pronunciate da Draghi davanti al Parlamento europeo: "Decidetevi. Fate qualcosa. Ma fatelo !".
Piero Fassino
1 marzo 2025
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