IL MONDO DI TRUMP
Non siamo ancora giunti al 20 gennaio - giorno in cui Trump assumerà la Presidenza degli Stati Uniti - che già è iniziato a spirare sul mondo un ciclone dagli esiti devastanti. Non è chiaro se - come cerca di sostenere qualche commentatore "comprensivo" - le sconcertanti dichiarazioni di Trump - l'annessione della Groenlandia, il controllo militare di Panama, la sottomissione economica del Canada, la sottrazione al Messico del golfo che fino ad oggi porta il suo nome - siano in realtà finalizzati a obiettivi negoziali più concreti, come l'accesso alle terre rare di cui la Groenlandia è ricca, più basse tariffe di transito nel canale di Panama, condizioni negoziali più cogenti in vista del rinnovo dell'area di libero scambio del Nord America. Al di là della realizzabilità di quelle farneticanti esternazioni, quel che non può non essere colto è il messaggio del Presidente degli Stati Uniti: per perseguire l'obiettivo Make America Great Again - fare tornare l'America grande - Trump non esiterà a mettere in discussione il rispetto della sovranità di ogni nazione, l'inviolabilità unilaterale dei confini altrui, il rifiuto dell'uso della forza per la risoluzione dei conflitti. Principi su cui si regge il mondo, sanciti dallo statuto delle Nazioni Unite e di tutte le istituzioni multilaterali, di cui peraltro gli Stati Uniti sono soci fondamentali.
Non stupisce che Trump solidarizzi con Putin. Il Presidente russo ha infatti giustificato l'invasione dell’Ucraina esattamente con gli stessi argomenti a cui Trump è ricorso nelle sue esternazioni. Il Presidente americano vuole annettere la Groenlandia "perché serve alla sicurezza degli Stati Uniti", così come Putin ha invaso l'Ucraina invocando la sicurezza della Russia (che peraltro dalla caduta del muro di Berlino ad oggi non è mai stata messa in discussione). Insomma, America first significa che non ci sono principi, regole, criteri, ma soltanto l'interesse degli Stati Uniti (così come lo valuta insindacabilmente il suo Presidente) per perseguire il quale è lecito ogni mezzo, la violazione di ogni regola fino all'uso della forza. Chiunque comprende gli effetti devastanti di questo impianto. Da domani qualsiasi governante può invocare la legittimità di qualsiasi gesto: la Cina impadronirsi di Taiwan; il Giappone risolvere con la forza il contenzioso con la Russia sulle isole Kurili; l'Ungheria pretendere dalla Romania la retrocessione della Transilvania; l'Argentina tentare di riconquistare le Isole Falkland; la Bolivia rivendicare lo sbocco al mare a danno di Cile e Perù; il Marocco imporre la sovranità sul Sahara ex spagnolo e su Ceuta e Melila. Gli analisti valutano in oltre cento i conflitti territoriali tuttora non risolti. Per non parlare dei contenziosi suscitati da conflittualità economica (a partire dalle dispute commerciali con la Cina). Con l'approccio di Trump la risoluzione di ogni contenzioso irrisolto sarà affidato all'unica regola: i rapporti di forza. Una strategia che ha l'altro suo volto nell'uso brutale e violento della comunicazione digitale, secondo i dettami che che senza alcun imbarazzo teorizza e pratica Elon Musk, il quale non solo ha l'obiettivo - per usare le parole di Steve Bannon - di "diventare trimilionario", ma lo persegue utilizzando l'enorme potenziale tecnologico delle sue aziende per condizionare pesantemente governi e classi dirigenti di mezzo mondo, sostenere sovranisti e destre estreme e sovvertire le regole della democrazia. Ed è questo il vero nodo che emerge. Il '900 è stato il secolo nel quale la politica con la democrazia ha costituzionalizzato il mercato dandogli regole e responsabilità sociali. Alla fine del secolo, di fronte all'avvento della globalizzazione, si pensò di trasferire quella costituzionalizzazione alla dimensione globale per promuovere una evoluzione democratica anche là dove lo Stato di diritto non era riconosciuto. Si disse, per esempio, che l'apertura al mercato avrebbe inevitabilmente condotto la Cina ad aprirsi alla democrazia. È avvenuto il contrario: la Cina è divenuto un grande player dell'economia globale continuando ad essere un Paese retto da un regime autocratico e illiberale. Un modello che si è esteso, se solo si pensa al diffondersi della tentazione autocratica e delle "democrazie illiberali" (definizione rivendicata non a caso da Putin). Insomma questo primo quarto di secolo è segnato dalla separazione tra mercato e democrazia, con la netta prevaricazione del primo sulla seconda. Ed è lì che ha una radice la crisi della democrazia rappresentativa da cui non a caso una crescente parte dei cittadini si è allontanata come dimostrano i crescenti livelli di astensionismo elettorale, come i maggiori consensi raccolti da movimenti populisti e sovranisti che hanno nella contestazione della democrazia una delle loro ragioni di essere. È uno scenario che interroga in primo luogo l'Occidente, e in particolare l'Europa, da sempre culle della democrazia, dello Stato di diritto, del valori liberali. Si commetterebbe un errore esiziale a pensare che "a da passa' a nuttata". Con Trump e Musk sono in gioco lo Stato di diritto, l'imparzialità della giustizia, l'autonomia delle istituzioni, l'indipendenza dell'informazione, la possibilità per la politica di dare ordine e regole al mercato. Chi crede nella democrazia ha il dovere di non limitarsi a denunciare i rischi a cui è esposta. Serve la elaborazione di una strategia capace di restituire alla democrazia e alle sue istituzioni la capacità di guidare la società nel segno dei diritti, del progresso, dell'uguaglianza delle opportunità. Ma è una sfida che i democratici possono vincere solo rinnovando profondamente politiche, linguaggio, rapporto con i cittadini e le loro speranze. Ed è una sfida intrinsecamente connessa alla capacità dell'Unione europea di uscire dalla afasia e dalle troppe incertezze che ne frenano l'azione. Il 2025 sarà un anno cruciale per Bruxelles sempre più di fronte a un bivio: ogni policies - dalla politica estera alla difesa, dall'immigrazione alla transizione energetica, dalla competizione globale alle politiche di crescita - richiede politiche di integrazione più intense capaci di stare nelle dimensioni della interdipendenza globale; ma contemporaneamente la assunzione di funzioni di governo in molti Paesi da parte di destre euroscettiche o antieuropee rappresenta un forte ostacolo al decollo di quelle politiche. Rilanciare un progetto europeo forte e credibile sarà dunque nel nuovo anno il cimento essenziale per evitare la marginalizzazione dell'Europa e per restituire alla democrazia la sua forza e attrattività. Una battaglia che la sinistra deve combattere consapevole che dall'esito dipende il suo stesso destino.
Piero Fassino
11 gennaio 2025
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