LA SIRIA RIDISEGNA GLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI
L'abbattimento della sanguinaria dittatura della famiglia Assad e i rivolgimenti che hanno investito la Siria vanno molto al di là dei confini di quel Paese, incidendo profondamente negli assetti politici della regione e di più vasti equilibri internazionali.
Il rovesciamento del regime innesca in primo luogo un ulteriore profondo cambiamento nella geografia politica del Medio Oriente: piegati Hamas e Hetzbollah, la caduta del regime siriano segna l'ulteriore disfacimento di quel fronte islamico radicale che per decenni ha rappresentato un costante fattore di destabilizzazione del Medio Oriente. Un rivolgimento che sollecita riposizionamenti e spazi di iniziativa a molti attori del Vicino Oriente e della scena internazionale. Intanto agli Stati Uniti: il Presidente Trump, che nel suo precedente mandato ha promosso gli accordi di Abramo tra Israele e emirati arabi, dovrà decidere se cogliere l'evoluzione siriana per proseguire in quel processo di stabilizzazione e pacificazione della regione a cui ha fortemente lavorato il Segretario di Stato Blinken. E come la nuova amministrazione americana vorrà rapportarsi all'Iran vista la condizione di particolare debolezza del regime di Teheran. Altro attore che potrà cercare di trarre vantaggio dal nuovo scenario mediorientale è il Presidente Erdogan nella sua strategia neo-ottomana di rilancio della Turchia come potenza regionale da cui non si possa prescindere negli equilibri internazionali. Viceversa altri Paesi vedono ridimensionato il loro ruolo. In primis l'Iran ormai privo di quel sistema di proxys che, agendo per conto di Teheran, rappresentava una cintura di sicurezza per il regime. E si dovrà vedere quanto i rivolgimenti siriani potranno influire sulle dinamiche interne all'Iran, negli equilibri di potere del vertice teocratico e nel suo rapporto con una società sempre più insofferente alla cappa oppressiva imposta dagli ayatollah. Nel regime di Assad la Russia aveva un pilastro essenziale. Il suo crollo impone a Mosca di ridefinire il suo posizionamento. Lo farà accentuando probabilmente la aggressione all'Ucraina e irrigidendo le condizioni a cui subordinare un eventuale negoziato di pace. Ma nelle cancellerie ci si interroga anche se Mosca rinuncerà alla proiezione mediterranea o la rilancerà riprendendo storici rapporti con Egitto e Algeria e rendendo ancor più invasiva la penetrazione nel Sahel. Il nuovo scenario mediorientale chiama in causa anche l'Arabia Saudita che, forte di una riconosciuta leadership del mondo arabo, è forse l'unico Paese della regione che può promuovere un accordo di pace in grado di fornire una doppia garanzia: ai palestinesi di avere finalmente una patria e a Israele che la sua esistenza e la sua sicurezza non saranno più messe in discussione. E svolgendo questo ruolo di regista di pace e stabilità contenere l'ambizione turca di assumere la leadership del mondo sunnita. Ma soprattutto il nuovo contesto sollecita Israele a definire come voglia collocarsi in uno scenario non più caratterizzato dall'egemonia del radicalismo islamico. Se e come ciò potrà favorire che si giunga finalmente - dopo la tregua in Libano - ad un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, alla liberazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, all'inoltro degli aiuti umanitari necessari alla popolazione palestinese e all'avvio di un percorso che ricostruisca le condizioni - oggi largamente compromesse, ma indispensabili - per una soluzione politica stabile e condivisa. Peraltro la crisi del radicalismo islamico sollecita l'ANP a uscire da una condizione di isolamento e marginalità dotandosi di una leadership rinnovata capace di recuperare credibilità e agibilità in questi anni insidiate da Hamas. Certo, molto dipenderà anche dalla evoluzione del quadro interno siriano. Le prime affermazioni dei nuovi leader di Damasco appaiono finalizzate a rassicurare la comunità internazionale sulla volontà di rispettare diritti umani e civili fondamentali, nonché di voler concorrere alla stabilità della regione. Ma non si può ignorare il carattere composito - islamici moderati, jihad radicale, drusi, yazidi, curdi - della coalizione che ha rovesciato Assad, esposta a rischi di divisioni che ne indeboliscano la coesione. Tutto ciò dovrebbe sollecitare anche l'Unione europea a superare la paradossale situazione di essere il principale partner commerciale di Israele, il principale sostenitore finanziario dell'Autorità Nazionale Palestinese, il principale contributore a Unifil, senza tuttavia aver fin qui esercitato un ruolo significativo in una crisi così grave. Peraltro il nuovo scenario siriano influirà anche sugli equilibri dell'intera regione mediterranea con evidenti impatti sulle relazioni con l'Europa che, dunque, se vuole svolgere un ruolo non può galleggiare in una ininfluente passività. C'è da sperare che i rivolgimenti siriani e i loro impatti spingano l'Unione europea a mettersi in gioco.
Piero Fassino
22 dicembre 2024
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