LA DEMOCRAZIA E I CITTADINI
Il voto delle elezioni regionali liguri, umbre e emiliane offre molte indicazioni che sarebbe un errore archiviare frettolosamente.
La prima e più evidente riguarda il grado di adesione di elettrici ed elettori al processo elettorale. In Emilia Romagna ha votato il 43%, forse complice il fatto che fin dall'inizio la vittoria di De Pascale era data per quasi certa. In Umbria dove invece la contendibilità era apertissima la percentuale di votanti è stata leggermente più alta, il 53.3%. In Liguria dove il confronto era altrettanto serrato ha votato il 46%. Ancora una volta - come già registrato nelle più recenti elezioni politiche, europee e regionali - la metà degli elettori ha scelto di non recarsi ai seggi. Segno di una disaffezione che ha radici profonde e che non è facile divellere. Pesa il clima di incertezza - il reddito, il lavoro, il futuro dei figli - che grava sulla quotidianità di molte famiglie; incide un contesto segnato da eventi drammatici (le guerre, i disastri climatici ) e da trasformazioni che investono modi pensare e consuetudini di vita, accrescendo l'inquietudine sull'oggi e sul domani. E pesa anche l'opera di disintermediazione che ha indebolito partiti e soggetti organizzati - dai sindacati alle organizzazioni di categoria e sociali - diffondendo in una parte larga di cittadini la percezione di una lontananza delle istituzioni e della politica e della loro inadeguatezza a restituire certezze perdute in una società in continuo e rapido cambiamento. Una seconda indicazione riguarda la consistenza delle forze politiche e delle loro coalizioni. Il voto vede il PD raggiungere percentuali di consensi alti (Emilia 46.4%, Umbria 30.2%, Liguria 28.5%) anche se l'incremento percentuale è in parte favorito dal minore numero di voti validi. In ogni caso il voto attesta il PD come il partito più votato - primo in tutte tre le regioni - assegnandogli un ruolo guida sia nelle funzioni di governo in Emilia e Umbria, sia nell'opposizione in Liguria. Un voto che consolida anche i consensi registrati dal PD nelle elezioni europee. Questo soddisfacente risultato - ottenuto con una campagna elettorale a cui la segretaria Schlein ha impresso un forte slancio con generosità e determinazione - sollecita a fare i conti con le fragilità della coalizione: lo scarso radicamento territoriale di 5 Stelle (che nelle regioni al voto ha dimezzato voti e percentuali rispetto alle elezioni europee, che già avevano segnato una secca riduzione rispetto alle politiche del '22); il consenso apprezzabile, ma di dimensioni contenute di AVS; l'assenza di una forza centrista capace di attrarre una parte di voto moderato. Un quadro che sollecita il PD a mettere in campo una forte iniziativa politica e programmatica capace di parlare ad una società larga e di trainare l'intera coalizione progressista ad esprimere una cultura di governo. Un lavoro di "lunga lena" che richiede un impegno di elaborazione culturale, politica e programmatica che non tema di proporre tutte le innovazioni necessarie per gestire una società del cambiamento. A destra il voto ha messo in luce le contraddizioni in cui si dibatte la coalizione di governo. Fratelli d'Italia conferma la sua leadership, ma vedendo ridotti i suoi consensi in tutte le regioni al voto. Così come confermato è il ridotto consenso della Lega. Viceversa - come già emerso in passaggi elettorali dei mesi scorsi - emerge una relativa attrattività di Forza Italia e di liste civiche centriste a conferma di uno spazio politico per chi si presenti agli elettori con un profilo non aggressivo. Commentando il voto la Presidente Meloni si è chiesta "che cosa non abbia funzionato". Non è difficile dare una risposta. Non ha funzionato l'arroganza con cui Lei e il suo governo gestiscono quotidianamente il potere. Non ha funzionato ignorare lo stato disastroso in cui versa la sanità in molta parte del Paese. Non ha funzionato assumere una postura regressiva sui diritti delle persone. Non ha funzionato gestire l'immigrazione in modo propagandistico e fallimentare. Non ha funzionato imporre una autonomia regionale che la Corte Costituzionale ha in larga parte bocciato. Non ha funzionato pretendere di avere un ruolo in Europa accompagnandosi con coloro che l'Europa la detestano. In altri termini non ha funzionato descrivere ogni giorno un Paese molto lontano da quel che gli italiani vedono e vivono. Certo in Parlamento la destra dispone di una maggioranza che le permette di rimanere al potere. Ma non di soddisfare le domande del Paese. Uno scenario che riporta alla necessità di accelerare la costruzione di una proposta alternativa in grado di dimostrare agli italiani che ai problemi del Paese risposte vere e giuste si possono dare. Uno scenario che non può essere affrontato solo con la denuncia - necessaria naturalmente - ma che richiede la capacità di proporre visione, progetti e parole in cui i cittadini possano riconoscersi e sentirsi parte di una comunità. Trump ha vinto perché ha proposto una visione, per quanto reazionaria e regressiva. E la destra in Europa vince perché propone un'idea di società che, chiudendosi a riccio ed erigendo muri, appare protettiva. Ovviamente sono modelli che, cavalcando le paure e le inquietudini, propongono una società ripiegata, corporativa ed egoista - del tutto antitetica ai valori democratici e progressisti - ma sono in ogni caso espressioni di un'idea di società. Se le forze democratiche e progressiste non vogliono soccombere e tornare a esercitare una guida hanno necessità di mettere in campo una loro visione e un'idea di società che appaia preferibile perché più giusta e più sicura e, soprattutto, che restituisca il senso di un destino collettivo a cui ciascuno possa concorrere. Ed è questa la vera posta a cui oggi sono chiamati il PD e le forze progressiste. Ne va del futuro dell'Italia. Ne va della democrazia.
Piero Fassino
23 novembre 2024
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