A UN ANNO DAL 7 OTTOBRE
Sono trascorsi 365 giorni dal massacro che Hamas perpetrò il 7 ottobre 2023 attaccando i kibbutz di Nir Oz, Be'eri e Kfar Aza e il concerto giovanile Supernova a Re'im, uccidendo 1200 cittadini inermi e deportandone a Gaza oltre 250. Il più grande pogrom antiebraico dalla fine della seconda guerra mondiale. Un atto di guerra deliberato, accompagnato dal lancio di migliaia di missili esplosivi sulle città israeliane, ben sapendo che la reazione di Israele sarebbe stata durissima. Ne è seguita infatti una guerra feroce che ha investito l'intero territorio di Gaza coinvolgendo la popolazione palestinese e causando migliaia di vittime. Una guerra che si è progressivamente allargata al Libano con l'iniziale offensiva missilistica di Hetzbollah sulle città israeliane - che ha prodotto l'esodo di 100.000 abitanti dalle città del nord Israele - a cui è seguita una durissima risposta israeliana. E contemporaneamente il conflitto ha investito la Cisgiordania, sottoposta alla duplice tensione dello scontro Hamas-Israele e dell'azione squadristica di gruppi di coloni, spalleggiati dai partiti estremisti della coalizione di governo. Una guerra che assume sempre di più i caratteri di un conflitto regionale, stante l'impegno dell'Iran schierato a rifornire armi e finanziamenti ad Hamas, Hetzbollah, Jihad e Houti yemeniti.
Nonostante i reiterati appelli dell'ONU e della comunità internazionale e l'impegno diretto degli Stati Uniti, vani sono stati i negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Uno scenario guidato da un doppio radicalismo. Hamas ha pianificato il massacro del 7 ottobre come l'inizio di una guerra a oltranza, a cui si è preparata da anni, con l'obiettivo dichiarato di realizzare una Palestina "dal fiume al mare" sopprimendo l'esistenza di Israele e sradicando ogni presenza ebraica da quella terra. E specularmente Nethanyahu rifiuta - peraltro non da oggi - la creazione di uno Stato palestinese, in ciò spalleggiato dalla destra più estrema che non fa mistero di puntare ad un'unica "grande Israele" che inglobi e assimili la Cisgiordania, mettendo fine a qualsiasi disegno di un'entità statale palestinese.
È questo doppio radicalismo che ha fin qui alimentato la guerra e impedito qualsiasi soluzione che non sia la distruzione dell'avversario. Fermare le armi, realizzare il cessate il fuoco e riportare alle loro famiglie gli ostaggi è dunque oggi la condizione per interrompere la spirale di una guerra sempre più cruenta che, provocando un alto numero di vittime tra la popolazione civile, approfondisce ogni giorno di più sentimenti di rancore, odio e vendetta, allontanando e compromettendo ogni ipotesi di convivenza.
Fermare le armi è anche la condizione per aprire spazi di iniziativa a chi non vuole una precipitazione catastrofica e si batte per una soluzione politica del conflitto. Le centinaia di migliaia di israeliani che da mesi manifestano contestando Nethanyahu e la sua politica ci parlano di un'Israele democratica che vuole pace, sicurezza e convivenza e chiede un cambio di rotta. Così come in campo palestinese molti, pur consapevoli della debolezza e delle ambiguità dell'ANP e della necessità di un suo radicale rinnovamento, non intendono affidare il proprio futuro all'estremismo integralista e violento di Hamas. È significativo che un gruppo di autorevoli esponenti palestinesi che hanno ricoperto in passato ruoli importanti nell'ANP e nell'OLP abbiano chiesto con un pubblico documento la rifondazione della rappresentanza palestinese perché abbia l'autorevolezza per negoziare. Così come è significativo che due personalità quali l'ex Primo ministro israeliano Olmert e l'ex Ministro degli Esteri dell'ANP Nasser al-Kidwa si siano fatti carico di avanzare insieme una proposta che riapra la strada alla soluzione due Popoli/2Stati. Intensa è l'iniziativa americana per un coinvolgimento dei paesi arabi che prosegua il cammino aperto dagli Accordi di Abramo. Così come importanti sono le disponibilità manifestate da alcuni Paesi a concorrere ad una presenza internazionale a Gaza che assicuri sicurezza e vivibilità. Certo, le immagini drammatiche che ogni giorno entrano nelle nostre case possono indurre a pensare che sia vano ogni tentativo di fermare la guerra. Eppure non si può, non si deve cedere alla rassegnazione di una guerra infinita. E bisogna agire in tutte le sedi e con tutti mezzi per porvi fine.
 

Piero Fassino
28 settembre 2024