LA SFIDA DEL RAPPORTO DRAGHI
A poche ore dalla presentazione del Rapporto Draghi sul futuro dell'Europa, la Germania ha annunciato la sospensione temporanea del sistema di libera circolazione Schengen e l'Olanda ha annunciato di voler esercitare l'opting-out sulle politiche europee per l'asilo e l'immigrazione. Decisioni che fotografano la difficoltà di cogliere il significato del Rapporto Draghi che, in modo quasi ultimativo, dice che senza un netto salto di qualità delle politiche di integrazione in settori strategici - dalle politiche industriali all'Unione bancaria, dal Green deal alle politiche migratorie, dagli investimenti in ricerca e nelle tecnologie avanzate alle politiche di promozione e tutela sociale, dalla politica estera alla difesa - l'Unione europea non sarà in grado di reggere le sfide del mondo globale, esponendosi a un costante declino e all'irrilevanza. E perché quell'appello non si risolva solo in un grido di allarme, Draghi avanza un ambizioso programma di riforme e proposte concrete da realizzare con una mobilitazione straordinaria di risorse - quantificata in 800 miliardi di euro - da finanziare con strumenti di debito comune (come già è avvenuto per il Next Generation EU).
Le dinamiche che in ogni campo percorrono il pianeta e la rapidità di trasformazioni epocali - si pensi all'impatto dell'Intelligenza Artificiale - rendono evidente quanto l'Agenda Draghi sia non solo fondata, ma necessaria e urgente. E tuttavia questa verità è chiamata a fare i conti con classi dirigenti e opinioni pubbliche che, di fronte alle sfide, troppo spesso si ritraggono coltivando l'illusione che rinchiudersi nella dimensione nazionale consenta di eludere scelte difficili e coraggiose.
Un istinto difensivo di ripiegamento di cui si è avuta e si ha evidente manifestazione negli esiti delle consultazioni elettorali di molti paesi europei, segnati dall'affermarsi di forze nazionaliste e populiste che fanno dell'opposizione all'integrazione europea una delle loro bandiere. E non è davvero difficile immaginare le resistenze, i dubbi, le reticenze che saranno opposte alle proposte di Draghi da molte cancellerie, a partire da un Consiglio europeo dove siedono non pochi leader di governi che guardano all'UE con diffidenza e ostilità. Ma proprio per questo il Rapporto Draghi è straordinariamente utile e necessario perché mette ogni governante - ma anche società civili e opinioni pubbliche - di fronte alle loro responsabilità e al dovere di dire se, come e in quale Europa si vuole vivere.
È una domanda a cui tutti sono chiamati a rispondere. Anche in Italia, paese che - a dispetto delle narrazioni demagogiche della destra - ha ampiamente beneficiato dell'essere fin dalla fondazione partecipe delle politiche di integrazione e che da un ripiegamento protezionistico deriverebbe gravi danni.
Insomma l'Agenda Draghi - così come il Rapporto Letta sul mercato unico - chiama tutti a scelte ineludibili, sollecitando in primo luogo le forze europeiste a un impegno straordinario affinché si affermi nei cittadini e nelle classi dirigenti la consapevolezza che l'Unione europea non può rimanere in mezzo al guado e che l'unico modo per non essere travolta è mettere in campo coraggiosi e radicali cambiamenti.
Una scelta essenziale anche per il PD e il campo progressista e per quell'alternativa alle destre che deve avere in un solido radicamento europeo un elemento fondamentale di identità e credibilità.
 

Piero Fassino
15 settembre 2024