UN AUTUNNO PIENO DI INCOGNITE E DI SFIDE
A dispetto di un'enfasi rassicurante con cui la Presidente del Consiglio e la sua maggioranza magnificano i risultati del governo, la ripresa politica è segnata da più di una preoccupante incognita.
Incerta e nebulosa è intanto la legge di bilancio: per ora la copertura della manovra non supera il 60% obbligando ancora una volta a pareggiare i conti con l'aumento del debito. Un debito che tuttavia non potrà crescere a dismisura: mentre gli esercizi degli ultimi due anni, per effetto delle misure antiCovid, hanno beneficiato della sospensione del Patto di Stabilità, non potrà essere così quest'anno con l'introduzione del nuovo Patto di Stabilità e dei suoi vincoli di equilibrio. Tant'è che per non sforare i limiti di debito il governo si predispone a intervenire sulle pensioni - allungando i tempi di uscita - e a ridurre le risorse per sanità, spesa sociale e istruzione. Ridotte all'osso anche le risorse a sostegno degli investimenti infrastrutturali e del sistema produttivo. E tagli onerosi si prospettano per i Comuni. Peraltro la riduzione del cuneo fiscale è confermata per il solo 2025, lasciando in pregiudicato quel che accadrà dal 2026 in poi. Insomma si va verso una legge di bilancio magra e socialmente iniqua che carica su famiglie, imprese e enti locali l'onere dell'equilibrio dei conti pubblici.
Ma non sono queste le uniche nubi che oscurano l'orizzonte del governo.
Non meno critico è il fronte delle riforme istituzionali. La legge Calderoli sull'autonomia regionale differenziata appare sempre di più un disordinato e sperequato processo di disarticolazione dell'unità del Paese, suscitando contrarietà che vanno dalle Regioni - ben 5 hanno promosso un referendum abrogativo - al mondo delle imprese, dei sindacati, delle organizzazioni sociali fino alla Conferenza Episcopale. E la rapidità con cui sono state raccolte le 500.000 firme dei cittadini per indire il referendum testimoniano di una diffusa contrarietà alla legge Calderoli. Peraltro anche la proposta di premierato, su cui la Meloni si è spesa in prima persona, non ha fin qui ha convinto neanche i suoi alleati di governo. Riforme dunque dagli esiti incerti e il cui fallimento aggraverebbe la precarietà istituzionale del Paese. E, infine, perfino sull'immigrazione - cavallo di battaglia di Lega e FdI - si manifestano crepe. Mentre la esternalizzazione degli immigrati in Albania si rivela una costosa e velleitaria foglia di fico, il diniego a riconoscere la cittadinanza ai figli di famiglie regolarmente immigrate comincia a franare: l'introduzione dello ius scholae inizia ad avere una maggioranza in Parlamento e i sondaggi registrano un consenso maggioritario tra i cittadini italiani.
Guardando poi all'orizzonte europeo e internazionale risulta evidente la marginalità a cui la politica della destra ha condannato l'Italia. L'ambizioso tentativo di guidare uno schieramento antieuropeo è franato, scavalcato dall'affermarsi di forze ancor più estreme. E la Presidente del Consiglio deve sperare in una interessata benevolenza del PPE per non essere del tutto marginalizzata. Ma anche sui dossier internazionali più sensibili il governo appare in evidente difficoltà, a partire dalla guerra russo-ucraina dove emergono nella maggioranza con sempre maggiore spregiudicatezza le pulsioni filoputiniane, isolando così il nostro Paese non solo dagli alleati europei, ma dagli stessi Stati Uniti a cui fino ad oggi la Meloni aveva affidato la legittimazione internazionale del suo governo.
Che le cose per la destra non si mettessero bene è stato peraltro dimostrato dagli esiti delle elezioni europee e ancor di più dai responsi delle elezioni comunali, che hanno registrato significativi successi dei candidati e delle coalizioni di centrosinistra e progressiste. Soprattutto la destra non potrà più contare sulla rendita di posizione delle divisioni e competizioni che hanno negli ultimi anni minato la coesione - e spesso la fiducia - tra le forze democratiche e progressiste. E se certo la costruzione di un'alternativa è un cammino che deve compiere ancora molti passi, non c'è dubbio che oggi il campo delle forze democratiche e progressiste è percorso da una tensione all'unità di cui si sono visti già significativi risultati nelle elezioni comunali della scorsa primavera. E in questo scenario le elezioni regionali che tra poche settimane vedranno al voto Liguria, Umbria e Emilia Romagna assumono un valore non solo locale o amministrativo.
Insomma, l'autunno si annuncia denso di passaggi politici e istituzionali che possono ridisegnare lo scenario politico. Sta alle forze progressiste - e al PD e al suo spirito unitario, nonché alla responsabilità che le deriva dall'essere la principale forza di opposizione - mettere in campo una iniziativa che alla severa critica alle scelte del governo accompagni la proposizione di un ambizioso programma di innovazione, equità e crescita.
 

Piero Fassino
3 settembre 2024