ADESSO COSTRUIRE L'ALTERNATIVA ALLA DESTRA
Il voto del 9 giugno segna mutamenti rilevanti di scenario aprendo una fase politica diversa sia in Europa, sia in Italia.
Cambia lo scenario europeo. Grazie alla tenuta in molte nazioni dei partiti di PPE e PSE si conferma nel Parlamento europeo una maggioranza europeista, resa tuttavia più debole e fragile da una generale crescita della destra antieuropea, in particolare di un suo sfondamento in Francia, Germania, Austria, Belgio.
In questo quadro il PPE, affermandosi come primo partito in molti paesi, si conferma la forza centrale dello scenario europeo e dalle sue scelte dipenderà molto del profilo che assumerà l'Unione Europea. E a fronte della pressione della destra per ostacolare la conferma di una maggioranza europeista, risulta decisiva la tenuta del PSE che, a fronte della riduzione elettorale di SPD e SPÖ, vede un maggior peso di PD, Psoe e portoghesi, il ritorno del PS francese e la ripresa della socialdemocrazia scandinava.
All'indebolimento del fronte europeista concorre la riduzione di peso delle forze "terze": il crollo di Renew in Francia, Olanda, Belgio, Italia e il ridimensionamento dei Verdi, soprattutto in Germania e Francia, solo parzialmente compensato da successo in Danimarca, Olanda e Italia.
Il PD si afferma, alla pari con i socialisti spagnoli, come prima forza della famiglia PSE con possibilità di assumere responsabilità istituzionali e politiche primarie nelle istituzioni europee.
Come si vede uno scenario complesso, aperto a più esiti. Con il rischio che l'onda antipopulista, pur non riuscendo a dar vita a una maggioranza alternativa, condizioni pesantemente la formazione dei vertici europei (Presidente Consiglio, Presidente Commissione, Presidente Parlamento, Alto Rappresentante, Commissari) e ostacoli il rilancio del processo di integrazione proprio quando invece tutto richiama l'urgenza di un'Europa più integrata e più coesa per essere attiva protagonista degli scenari internazionali.
Un rischio tutt'altro che astratto alla luce della discussione che si è aperta nel Partito Popolare e nella CDU tedesca. E naturalmente incideranno i risultati delle elezioni anticipate francesi e le conseguenze che provocherà in Germania e in Europa il rovescio dei socialdemocratici tedeschi.
Guardando allo scenario italiano due dati generali emergono.
Non si è ridotta l'astensione. Per la prima volta la partecipazione elettorale tocca il minimo storico del 49% degli italiani, con percentuali leggermente superiori al 50% nel nord e nel centro e forte flessione nel sud e nelle isole. Se si parametrano i risultati non sui votanti, ma sull'intero corpo elettorale i consensi ai partiti valgono la metà delle attuali percentuali. Per capirci, su 100 italiani il voto al FdI si riduce a 13 votanti, a 11 per il PD e a percentuali minime per tutti gli altri partiti. Cifre che dimostrano quanto profonda e inalterata sia la criticità del rapporto cittadini/politica. Questione decisiva per chiunque voglia candidarsi a guidare il Paese.
Lo scenario poi si polarizza: i due principali partiti - FdI e PD - sommano il 53% dei voti e ognuno nel suo campo è largamente egemone. Comparando le percentuali dei partiti di cdx e di opposizione i due schieramenti si equivalgono, con la differenza che la destra appare coesa, anche perché vincolata dalle comuni responsabilità di governo, mentre l'opposizione è per ora una somma aritmetica e non ancora uno schieramento politico alternativo.
Guardando agli esiti dei partiti, FdI con due punti percentuali in più rafforza il risultato del '22, ma conosce una emorragia di ben 700.000 voti in meno. Si accentua in ogni caso a vantaggio di FdI lo squilibrio con i suoi due alleati, rafforzando la leadership della Meloni nella coalizione di governo.
Il risultato di Forza Italia conferma la attrattività di una destra dall'immagine non aggressiva. Viceversa, nonostante 500.000 voti a Vannacci, la Lega conferma la non capacità espansiva di una radicalizzazione populista, bollata persino dalle severe parole di Umberto Bossi.
Netto il successo del PD che supera le percentuali delle elezioni politiche e europee dal 2018 a oggi, raccoglie 250.000 voti in più sulle politiche del '22 e si conferma di gran lunga principale forza dell'opposizione e perno essenziale per la costruzione dell'alternativa. Un risultato ottenuto grazie a liste plurali e attrattive a cui hanno dato un contributo decisivo candidati portatori di una cultura riformista e di positive esperienze di buongoverno locale, come Bonaccini, Decaro, Nardella, Gori, Ricci.
Risultato consolidato dall'essere il PD primo partito in molte regioni e capoluoghi e dai molti successi raccolti nelle contestuali elezioni amministrative.
Da questi esiti Elly Schlein - che si è spesa con grande generosità e determinazione - esce rafforzata. Il voto supera il Congresso e apre una fase nuova nella vita del PD che da principale forza di opposizione adesso dovrà darsi profilo e programmi di una forza che ambisce a costruire uno schieramento di governo.
Crolla il M5S non solo per uno scarso radicamento territoriale e debolezza dei candidati, ma soprattutto per le troppe ambiguità che ne hanno minato l'affidabilità.
Al contrario significativo è il successo di Verdi/Sinistra - soprattutto nel voto giovanile (prima lista tra i votanti fuori sede, in gran parte studenti) - grazie al combinato disposto della candidatura Salis, il posizionamento su guerra e temi ambientalisti, ma anche per la coerenza con cui si sono collocati nell'alleanza progressista.
L'insuccesso di Renzi e Calenda è figlio della loro divisione. Uniti avrebbero raccolto probabilmente un 6%, dimensione non enorme, ma comunque necessaria per uno schieramento di alternativa.
In sintesi: se dal voto la destra viene confermata nella sua forza, emerge anche la possibilità di costruire un'alternativa, tanto più necessaria di fronte a scelte di governo - dalla sanità al lavoro, dall'immigrazione ai diritti civili - che mettono a rischio certezze di vita, di reddito e di lavoro per milioni di persone.
Un obiettivo che va perseguito mettendo in campo una strategia "federativa" larga, aperta a tutte le forze che si ispirano a valori di progresso e fondata su un programma espressione di una solida cultura di governo. Un obiettivo che assegna un ruolo centrale al Partito Democratico confermato come più forte partito del campo progressista. Compito non facile, né realizzabile in qualche settimana. E tuttavia unica e ineludibile strada per restituire certezze e fiducia a una società che - come dimostrano gli alti tassi di astensione - ha in questi anni ha vissuto frustrazione e disincanto.
Insomma: si apre una fase nuova. E PD e forze progressiste sono chiamate a scelte coraggiose e coerenti.
 

Piero Fassino
15 giugno 2024