MEDIO ORIENTE A UN BIVIO
Dopo reiterati tentativi naufragati, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha adottato - con il voto unanime di tutti membri e l'astensione degli Stati Uniti - una Risoluzione che chiede alle parti un cessate il fuoco temporaneo per il periodo del Ramadan, la liberazione senza condizioni degli ostaggi israeliani, la rimozione degli ostacoli che si frappongono all'inoltro degli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza.
Un atto aperto ad un duplice opposto esito: se applicata, la Risoluzione può rappresentare il primo passo verso il superamento della guerra e la ricerca, pur difficile, di una soluzione politica; se viceversa la Risoluzione non fosse applicata il rischio è un ulteriore inasprimento delle operazioni belliche con ulteriori devastanti conseguenze.
La scelta è nelle mani dei protagonisti.
È nelle mani di Nethanyahu che immediatamente ha respinto la Risoluzione. Un atteggiamento che rischia di accrescere l'isolamento di Israele, che già in questi mesi ha subito pesanti critiche per come è stato gestito l'intervento militare israeliano a Gaza.
Se di fronte allo spaventoso massacro del 7 ottobre la comunità internazionale ha riconosciuto il diritto israeliano all'autodifesa, successivamente l'alto numero di vittime palestinesi e le pesanti condizioni di vita a cui la popolazione civile di Gaza è stata sottoposta ha suscitato aspre critiche, anche in paesi amici di Israele, come gli Stati Uniti. Né sono mancate molte voci critiche della società israeliana e perfino nella maggioranza di governo. Inevitabile che la non applicazione della Risoluzione ONU accresca le critiche ad Israele e e ne accentui l'isolamento.
Naturalmente non stupisce l'atteggiamento di Nethanyahu, che in tutti gli anni in cui ha guidato il governo di Israele ha operato per impedire una soluzione al conflitto con i palestinesi. Ha inasprito la gestione militare della Cisgiordania, ha promosso la continua espansione di insediamenti di coloni, ha indebolito l'ANP (perfino non esitando a favorire surrettiziamente la penetrazione di Hamas) e ha pervicacemente impedito ogni ipotesi negoziale. E oggi mantiene una linea di totale chiusura sfruttando lo shock enorme che il massacro del 7 ottobre ha prodotto nella società israeliana, a cui Nethanyahu si presenta come l'unico determinato a difendere il suo popolo. Una linea tuttavia senza sbocco politico che conferma che una soluzione di pace non passa per Nethanyahu, ma richiede una nuova e diversa leadership israeliana che non si sottragga a costruire una soluzione di coesistenza di due Stati.
Ma l'esito della Risoluzione è anche nelle mani di Hamas che, strumentalmente, ha manifestato piena soddisfazione caricando la posizione dell'ONU di contenuti - quali il ritiro degli israeliani da Gaza - non previsti dalla Risoluzione. Non solo, ma mentre la Risoluzione chiede la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani - che implica anche i corpi degli ostaggi deceduti - prosegue una defatigante trattativa, mediata da Egitto, Qatar e Stati Uniti, per uno scambio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Passaggio necessario, ma certo assai lontano da una "liberazione incondizionata". E peraltro nonostante che la richiesta dell'ONU di cessate il fuoco di rivolga a entrambe le parti in conflitto, non vi è stata fino ad ora alcuna dichiarazione o atto di Hamas che espliciti la sospensione delle sue operazioni militari.
Dunque la applicazione del cessate il fuoco è appesa a un filo.
E questo richiama la necessità di un forte impegno della comunità internazionale e dei suoi principali attori per convincere le parti ad accettare il cessate il fuoco. Gli Stati Uniti e l'Unione europea lo stanno facendo con grande determinazione a partire dallo scongiurare la annunciata offensiva israeliana su Rafah. Non meno importante che la stessa azione persuasiva sia esercitata Paesi in grado di influire sul fronte palestinese. Se infatti emergesse che il cessate il fuoco viene utilizzato da Hamas per riorganizzare le sue attività militari, non basterà addossare a Nethanyahu la responsabilità della ripresa della guerra.
 

Piero Fassino
28 marzo 2024