DAI VOTI REGIONALI SEGNALI DA RACCOGLIERE
Lo scenario politico è segnato via via dai passaggi elettorali che si susseguono. Dopo il voto in Sardegna e Abruzzo, sarà la Basilicata a rinnovare i propri organi regionali e a giugno, contemporaneamente alle elezioni europee, saranno chiamati al voto le elettrici e gli elettori del Piemonte e di quasi 5000 Comuni. La conseguenza è una continua fibrillazione politica legata agli esiti di ogni passaggio elettorale. E forse sarebbe tempo che le forze politiche decidessero di concentrare ogni anno tutte le diverse scadenze elettorali in un solo D-Day. In Sardegna il voto è stato influenzato dalla possibilità di esercitare il voto disgiunto, dal forte differenziale di credibilità dei candidati - Todde credibile, Truzzu molto meno - dalla disaffezione dell'elettorato sardista irritato per la rimozione del presidente uscente, da una volontà di riscatto sempre presente nell'elettorato sardo. E da fattori contingenti, ma non meno impattanti, come le cariche poliziesche di Pisa.
Nessuno di questi fattori era presente nel voto dell'Abruzzo, salvo la credibilità del candidato scelto dal campo progressista. Credibilità che ha consentito di raccogliere un consenso significativo, ma non sufficiente tuttavia a colmare una differenza elettorale a favore della destra.
Tuttavia dai due passaggi elettorali emergono dinamiche simili che richiedono di essere seriamente considerate, anche in vista di prossimi appuntamenti elettorali.
Intanto permane una forte astensione - quasi la metà degli elettori - a conferma di una disaffezione che, se non si manifesta in modo visibile come negli anni scorsi, rimane alta e non riassorbita da nessuna forza politica.
Guardando poi ai risultati conseguiti dagli schieramenti in campo emergono dinamiche non riconducibili solo alla scala locale.
Nel centro destra si conferma il ruolo egemone del partito della Presidente del Consiglio e per contro si esaurisce l'ambizioso progetto di Salvini di dare alla Lega profilo nazionale. Il fatto più significativo è la forte crescita di Forza Italia soprattutto in Abruzzo. Un esito riconducibile non soltanto alla storica presenza di un insediamento elettorale moderato, ma anche al profilo non radicalizzante assunto dal partito di Tajani.
Una caratteristica che si ritrova anche nel voto del campo progressista, dove viene premiato il PD - percepito come una forza comunque ispirata da una cultura di governo - mentre vede fortemente ridotti i suoi consensi 5S che - sia in Sardegna che in Abruzzo - non trasferisce nel voto locale il consenso accreditato dai sondaggi sul piano nazionale.
Vale la pena di riflettere sul voto di Forza Italia perché rende visibile un tema cruciale per gli equilibri politici: c'è un elettorato moderato che non apprezza la radicalizzazione politica e per questo non è attratta dal metodo muscolare e aggressivo di Fratelli d'Italia e della Lega, così come non apprezza la strumentalità ondivaga di 5S. E pur riconoscendo il ruolo del Pd, lo osserva con diffidenza.
Ci sono dunque spazi di elettorato contendibili sia sul fronte dell'astensione, sia sul fronte del centro. Questione che interroga tutte le forze politiche, ma in particolare il Pd.
Tra gli obiettivi per cui si decise di dare vita prima all'Ulivo e poi al Pd vi erano infatti la rigenerazione di un sistema politico e istituzionale logorato e in caduta di credibilità; e promuovere l'incontro tra la sinistra e i progressisti moderati per dare al Paese una forza riformista capace di tenere insieme modernità ed equità.
Quei due obiettivi sono oggi ancor più validi di quanto non lo fossero diciassette anni fa e chiedono al Pd una seria riflessione su come interloquire con mondi che rifiutano la politica come esibizione muscolare e desiderano una politica che offra certezze e restituisca fiducia.
 

Piero Fassino
16 marzo 2024