Libia, Nagorno-Karabach: far tacere le armi, la parola al negoziato
25 ott 2020
Tra i tanti, troppi, conflitti che ancora insanguinano il mondo, l'agenda internazionale ci consegna in queste settimane due critici teatri di guerra.
Dall'inizio di ottobre nel Caucaso divampa nuovamente lo scontro tra Armenia e Azerbaijan. L'oggetto del contendere è il Nagorno-Karabach, una regione azera di popolazione armena la quale, in virtù della propria identità rifiuta di vivere in Azerbaijan e, sostenuta dall'Armenia, si è autoproclamata Repubblica indipendente. Per dirimere il conflitto - che si trascina dal 1991 con periodiche infiammate belliche - è stato creato sotto gli auspici dell'Osce il "Gruppo di Minsk" (composto dai due Stati in conflitto e da Russia, Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Portogallo, Olanda, Svezia, Finlandia, Bielorussia e Turchia) la cui azione di mediazione fino ad oggi non ha sortito alcun esito. Ciascuno dei contendenti è così tornato ad affidarsi alle armi in una spirale bellica che ha prodotto centinaia di morti, migliaia di sfollati, distruzioni e sofferenze, confermando che non è con le armi che si da soluzione ai conflitti, ma solo con la disponibilità ad un negoziato che consenta di raggiungere esiti condivisi.
Di ciò viene conferma anche dalla Libia. Dopo anni di conflitti laceranti e di ricorso alle armi che non ha visto nessuno dei contendenti prevalere, nei giorni scorsi è stato finalmente raggiunto - con la mediazione dell'ONU e l'attivo sostegno dei principali Paesi europei, tra cui l'Italia - un accordo di cessate il fuoco permanente e la individuazione di un percorso che dovrebbe portare entro alcuni mesi alla formazione di nuove istituzioni unitarie e rappresentative di tutte le diverse componenti della società libica. Un percorso non facile, esposto ancora a colpi di coda, che tuttavia è l'unica via per far uscire la Libia da quasi dieci anni di guerre, lacerazioni, sofferenze.
Far tacere le armi e dare la parola al negoziato: è questa l'unica strada per dare soluzione ai conflitti e evitare altri lutti e tragedie. Un obiettivo che in Libia, come in Nagorno-Karabakh non riguarda solo le parti in conflitto, ma chiama la responsabilità dell'intera comunità internazionale e, in primis, dell'Europa e delle sue nazioni. E l'Italia - vitalmente interessata ad una Libia stabile e membro del Gruppo di Minsk sul Nagorno-Karabakh - è anch'essa chiamata a fare la propria parte.
Piero Fassino
Presidente della Commissione Esteri