Ripartiamo dal lavoro
Un 1º maggio senza cortei e manifestazioni, senza il grande concerto di Piazza S.Giovanni, senza i tradizionali pranzi collettivi. Soprattutto un 1º maggio con milioni di lavoratori a casa, centinaia di migliaia dei quali in cassa integrazione, che si interrogano quando potranno tornare al lavoro e se alla riapertura delle aziende troveranno ancora il loro posto. E chi un lavoro non ce l'ha - o come molti precari, l'ha perso - l'angoscia di un domani senza certezze. Inquietudini che agitano anche i tanti operatori in proprio che si chiedono se l'officina, il laboratorio, il negozio, lo studio professionale a cui hanno dedicato le loro fatiche saranno in grado di riaprire i battenti. Interrogativi che turbano l'animo e la mente di intere famiglie che si chiedono quale sarà il futuro dei loro figli. A questo ci ha costretto il coronavirus, mettendo di colpo in discussione quelle certezze di lavoro e di reddito su cui ogni persona organizza la propria vita.

Sì perché il lavoro è una dimensione centrale della vita di ciascuno di noi. Il lavoro è non soltanto il mezzo per garantirsi un reddito, ma è molto di più. Il lavoro o l'attività che una persona svolge - da dipendente o in forma autonoma - è parte essenziale della sua identità e della sua personalità. Quando si incontra per la prima volta una persona, dopo avergli chiesto il nome, la domanda successiva è "che lavoro svolgi?". Nel lavoro ciascuno esprime creatività, professionalità, sapere e saper fare. E il prodotto - materiale o immateriale che sia - porta l'impronta del suo autore. Il lavoro determina il sistema delle relazioni perché lì dove ogni giorno condividi spazio e tempo nascono amicizie, si scoprono affinità, sbocciano amori. Al lavoro ciascuno affida il senso della propria vita, tant'è che il principale problema per chi va in pensione è lo spaesamento per il venir meno di ciò che ha riempito per anni gran parte della quotidianità. Ed è il lavoro di milioni di donne e di uomini a creare la prosperità e la forza di una nazione.

Certo il lavoro è venuto modificando le sue modalità. Se il '900 è stato il secolo del ciclo meccanico e del taylorismo, delle catene di montaggio e delle prestazioni parcellizzate e ripetitive - ricordate Chaplin in Tempi Moderni? - questo è il secolo del ciclo informatico, dei robot e dei computer, del rapporto individuale uomo-tecnologia. Dalla società del lavoro siamo passati alla società dei lavori, così come è cambiato il rapporto tra tute blu e colletti bianchi. Cambiamenti che non hanno fatto venire meno il valore del lavoro e la sua centralità.
E non lo fa venire meno neanche coronavirus che pure ha prodotto modificazioni che non si esauriranno con lo spegnersi dell'epidemia. Lo smartworking, il lavoro agile, il telelavoro a domicilio, le prestazioni in remoto e altre forme flessibili non solo permarranno, ma probabilmente conosceranno un'espansione.

Ma anche così la questione non eludibile resta una: garantire che ogni donna e ogni uomo possa avere un lavoro certo e dignitoso. Un lavoro sicuro che non metta a rischio l'incolumità del lavoratore. Un lavoro professionalmente riconosciuto, legislativamente regolato, contrattualmente tutelato, adeguatamente remunerato. Un lavoro che assicuri uguaglianza di diritti per donne e uomini, per giovani e anziani, per italiani e stranieri. E anche nella società flessibile la piena occupazione deve rimanere un obiettivo irrinunciabile, assoluta priorità su cui concentrare risorse, energie, intelligenze.

Per questo è così importante mettere le imprese nelle condizioni di riprendere la loro attività. E non solo le aziende di media e grande dimensione che pur scontando difficoltà hanno comunque autonomia finanziaria, ma anche e sopratutto le tante piccole imprese che costituiscono la nervatura del sistema produttivo e per proseguire hanno stringente necessità di risorse fresche e rapidamente disponibili. Così come urgente è mettere in campo un grande programma di investimenti pubblici e privati, utilizzando le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee. E a questo si deve accompagnare un'azione di sostegno al reddito per le fasce di maggiore indigenza e precarietà. È in questa direzione che si muovono i provvedimenti assunti dal governo per imprese, lavoratori e famiglie (di cui trovate in questa newsletter una precisa e ampia documentazione). Così come gli stessi obiettivi perseguono le istituzioni europee con le misure assunte da UE, BCE e BEI e con il Recovery Fund di prossima attivazione (ne parlo nella intervista qui sotto richiamata).
Quanto più si creerà e garantirà lavoro, tanto più sarà solida e duratura la rinascita del Paese e sicuro il futuro di ognuno. E questo 1º maggio, pur virtuale, non avrà smarrito il suo significato di Festa del lavoro.

Buon 1º maggio
Piero Fassino
1 maggio 2020