"Un 25 aprile di liberazione dalla paura e dalla sofferenza. Il Fondo di Ricostruzione svolta storica per l'Europa".
Intervista di
Marco Marturano su
affaritaliani.it
24 aprile 2020
Piero Fassino, vicePresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati e Presidente del CESPI, lancia l'appello per un giorno unico e commenta la scelta del Consiglio Europeo sul Recovery Fund contro la recessione.
L'Europa fa un passo avanti, ma adesso gli Stati passano la palla alla Commissione Europea per chiudere la partita del finanziamento del Fondo Di Soccorso all'economia messa in ginocchio dalla pandemia. E la riunione del Consiglio Europeo dimostra che non siamo ancora in una famiglia dove tutti vanno nella stessa direzione.
Onorevole Fassino ci siamo lasciati due settimane fa auspicando un atto di coraggio dell'Europa contro la gelosia degli Stati. C'è stato davvero al Consiglio Europeo?
PF: Sì, l'atto di coraggio c'è stato. Il Consiglio Europeo ha dato luce verde al Recovery Fund per finanziare un grande piano di investimenti per combattere l'epidemia, contrastare la recessione, rilanciare la crescita, creare lavoro. Non era una decisione scontata, tant'è che ha richiesto settimane di discussione tra i 27 governi della UE. È proprio per questo è una decisione importante, perché assunta superando paure, pregiudizi e diffidenze. Ed è la dimostrazione di quanto siano sciocchi i pregiudizi: coloro che in Italia lanciano strali contro i veti olandesi, sono i primi a proporre veti sulle decisioni di Bruxelles. Usciamo dalla strumentalità elettorale: in poche settimane le istituzioni europee hanno messo sul tavolo 750 miliardi della BCE per acquisto titoli, 200 miliardi di garanzie della BEI per le imprese, 100 miliardi del SURE per finanziare cassa integrazione e sostegni a chi ha perso o non ha lavoro, la liberalizzazione degli aiuti di Stato alle imprese, la sospensione dei vincoli del Patto di Stabilità. E adesso il Recovery Fund e una linea MES senza condizionalita' per investimenti diretti e indiretti di lotta al coronavirus. E di tutte queste risorse l'Italia beneficerà abbondantemente. Come si fa a dire che l'Europa non
c'è? E come si può continuare a lamentare che l'Italia sia lasciata sola ?.
Come si risolve secondo lei il nodo del modo per finanziare il Fondo di soccorso? Quanto sarà davvero a fondo perduto senza dover tremare a pensare quando la stessa Europa passerebbe alla cassa a chiederceli indietro?
PF: Intanto non chiamiamolo fondo di soccorso, ma di "ricostruzione". Se è vero che coronavirus ha prodotto effetti devastanti, il nostro compito è ripartire e ricostruire. Il Fondo sarà finanziato con l'emissione di titoli- i famosi bond, anche se c'è chi che non vuole chiamarli così - collocati sul mercato finanziario e garantiti dal bilancio dell'Unione. Le risorse così raccolte saranno impiegate in due direzioni: per finanziare progetti europei, in primo luogo nella Green economy, e per finanziare gli investimenti che ogni Stato attiverà per far ripartire la propria economia. Quanto di quelle risorse saranno a fondo perduto e quanto sarà prestito da restituire è l'oggetto del confronto delle prossime settimane. Probabilmente una parte sarà a fondo perduto e una parte a restituzione comunque a scadenza lunga. Non sarà una discussione facile, ma un punto oggi è chiaro. Fino a ieri si discuteva "se" il Recovery Fund dovesse esistere, oggi il Fondo esiste e il confronto è su "come" realizzarlo.
Parliamo dei tempi. Tutto questo si dice giustamente che deve essere veloce con soldi a disposizione subito perché se aspettiamo ancora le economie più in crisi non si riprendono più. Ma se la decisione della Commissione deve essere presa per il 4 maggio quando credibilmente saranno a dispozione le risorse per gli Stati?
PF:Intanto ancora 15 giorni fa questa decisione sembrava impossibile. Adesso la scelta è fatta e bisogna mettere in moto subito tutto ciò che è necessario per rendere operativo il Fondo nel più breve tempo possibile. La Presidente Von der Leyen si è impegnata a presentare le proposte operative entro l'inizio di maggio. Vuol dire che si è consapevoli che bisogna essere veloci.
E come vede le resistenze della Germania e dei Paesi del Nord Europa che non sembrano accettare la scelta che stanno evocando con forza tutti i paesi Europei più colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica?
PF: Questo è esattamente il punto. Le fragilità europee non derivano dalle istituzioni europee, ma dai governi nazionali. La redistribuzione dei profughi migranti non è stata bloccata da Bruxelles, ma da Budapest, Praga, Varsavia. La contrarietà all'emissione di Eurobond non viene da Bruxelles, ma da L'Aja e da Berlino. È la "gelosia delle nazioni" a rendere lento il cammino dell'Europa. E a frenare sono i conservatori e le destre. Quando diciamo Germania o Olanda o Ungheria o Polonia attenzione a distinguere: dobbiamo sapere che in quei paesi non sono pochi quelli che contestano l'egoismo dei loro governi. È l'illusione sovranista a frenare il passo dell'Europa, non l'integrazione europea. E gli interessi nazionali - che esistono e legittimamente ogni Paese vuole difendere - non si tutelano con le chiusure nazionalistiche, i dazi e le barriere, i pregiudizi manichei. Quando proprio questa epidemia ci dice che nessuno si salva da solo.
E poi un altro capitolo. Ok risorse per l'emergenza. Ma alcuni economisti parlano di una crisi che potrebbe essere recuperata in più di 10 anni. La battaglia che si sta facendo in Europa adesso per sopravvivere come si gestira' quando farà posto alla guerra per la ricostruzione del futuro?
PF: Guardiamoci dai profeti di sventura. All'indomani della seconda guerra mondiale l'Europa era un deserto di macerie fumanti. Nessuno avrebbe creduto che in pochi anni paesi devastati sarebbero diventati le principali potenze industriali del pianeta. E invece accadde perché scattarono una volontà di riscatto e una mobilitazione straordinaria delle tante energie di cui quelle società, nonostante la guerra, erano ricche. E anche allora alla volontà di ricostruire si unì progetto di unità europea: i Trattati di Roma che diedero il via al MEC il Mercato Comune Europeo, alla CECA la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e all'Euratom. E anche adesso è così. L'Europa di oggi è infinitamente più ricca di risorse, competenze, capacità rispetto a settanta anni fa. Ma anche oggi c'è bisogno di una tensione unitaria perche proprio coronavirus ci ha dimostrato che nessuna nazione europea può' uscire da questa crisi da sola. Il valore della decisione di ieri sta proprio nella scelta di 27 paesi di camminare insieme. Quando si unisce, l'Europa c'è.
Lei è uno dei sostenitori dell'appello per il 25 aprile che domani celebra i suoi 75 anni. Cosa significa in questo anno in cui la parola resistenza e la parola libertà acquisiscono un senso tutto diverso dal passato?
PF: Le restrizioni imposte dalla pandemia non devono impedirci di celebrare il 25 aprile, la data che segna la riconquista della libertà. Lì sono le radici della Repubblica, della Costituzione e dello Stato democratico. E oggi - in un passaggio così delicato della vita del Paese e di ciascuno di noi - abbiamo bisogno di ritrovare quel sentimento patrio, quel senso di appartenenza, quella coesione nazionale che 75 anni fa permisero all'Italia di rinascere. Ieri era la liberazione dalla guerra e dalla dittatura. Oggi deve essere la liberazione dalla paura e dalla sofferenza.