Piero Fassino, tra i fondatori del Partito democratico, spiega perché a 14 anni dalla sua fondazione il Pd è più che un esperimento riuscito. "La necessità di avere una grande forza progressista nel Paese oggi è molto più avvertita, se si guarda ai rischi che la democrazia italiana corre, insidiata dai nazionalismi e dai populismi" "Aver governato molti anni? Non è la denuncia di un limite ma la certificazione di una centralità politica". Lo dice a Formiche.net uno dei fondatori del Partito democratico, Piero Fassino, a proposito del rilievo mosso al partito di essere stato al governo, quasi ininterrottamente, dal 2007 ad oggi. L’ex guardasigilli, attualmente presidente della Commissione Esteri della Camera, in occasione del quattordicesimo anniversario dalla fondazione del partito, mette l’accento sulla straordinaria caratteristica del Pd (pur non sottacendone le criticità): attore che ha garantito la stabilità in momenti di grave eccezionalità. Il Pd come contenitore unitario di due culture, distanti e distinte, è stato un esperimento riuscito? Direi proprio di sì, perché tutte le ragioni per cui abbiamo deciso di dar vita al Partito democratico 14 anni fa, oggi sono ancora più valide di allora. Ne indico quattro. Decidemmo di fare quel passo perché si erano create le condizioni per unire riformismi che, a lungo, erano stati divisi e contrapposti: quella necessità di avere in Italia una grande forza progressista oggi è ancor più avvertita, se si guarda ai rischi che la democrazia italiana corre, insidiata dai nazionalismi e dai populismi. In secondo luogo fondammo il Pd per corrispondere all’esigenza di una forte modernizzazione dell’Italia che, attraverso una strategia di riforme, rimuovesse le strozzature che frenavano lo sviluppo del Paese. Un’esigenza che è presente anche oggi, tanto è vero che per uscire dalla pandemia si stanno mettendo in campo riforme che aggrediscono nodi da lungo tempo irrisolti, come la giustizia, il fisco, la pubblica amministrazione. In terzo luogo il Pd nacque per dare soluzione alla crisi politica e istituzionale che l’Italia subiva da oltre un decennio. Alcune di quelle riforme da noi indicate vennero poi bloccate dall’esito negativo del referendum. Ma il fatto che quella consultazione non abbia sortito un effetto positivo, non ha risolto i problemi del sistema politico. Anzi, tutti avvertiamo oggi la necessità di mettere mano a una riforma del sistema istituzionale e degli assetti politici. Infine demmo vita al Pd perché consapevoli che c’era necessità anche di un’innovazione da introdurre nella cultura e nei programmi della sinistra europea. A quel tempo tale motivazione fu sottovalutata? Sì, sopratutto in Europa dove non si comprese che era indifferibile per la sinistra la elaborazione di un pensiero nuovo per affrontare sfide nuove in nuovo secolo. Oggi se si guarda alle difficoltà vissute in questi anni dalla sinistra europea, comprese le sconfitte elettorali in molti Paesi, quell’esigenza di una ridefinizione di profilo, strategia e identità della sinistra riformista appare ancora più attuale. Il Pd l'ha messa in campo prima di altri. E vorrà pur dire qualcosa se, pur con i suoi limiti, il Pd è per dimensioni elettorali la seconda forza di sinistra in Europa. Dalla nascita del Pd ad oggi il partito è stato quasi sempre al governo, sia con larghe intese che in coalizione: quale il punto di forza di questa esperienza e quale l’aspetto da registrare? Il Pd si è rivelato essere la forza più affidabile per garantire stabilità in passaggi difficili e turbolenti. È questa la ragione per cui ha governato per così tanti anni, anche con formule diverse e sostenendo governi che spesso erano figli di uno stato di necessità. E anche oggi il Pd è il principale pilastro del governo Draghi. A chi ci muove il rilievo di aver governato per molti anni, rispondo che non è la denuncia di un limite, ma la certificazione di una centralità politica e di una affidabilità democratica riconosciuta da gran parte della società italiana. Dopo tre lustri Enrico Letta prova a ricalcare le orme uliviste di Romano Prodi. Come giudica questo sostanziale ritorno al centrosinistra largo? Il Pd non ha mai preteso l’esclusività della rappresentanza del progressismo italiano. La vocazione maggioritaria non è mai stata per noi autosufficienza, ma conquista di un consenso largo e radicato che consentisse al Pd di essere pilastro di un’alleanza progressista più ampia. Senza un perno centrale forte una coalizione rischia di essere fragile, anche quando vincente. È una consapevolezza che abbiamo acquisito proprio con l'esperienza dell'Ulivo, che è stata un'intuizione felice e vincente di unità delle forze progressiste, ma che per due volte è caduta per una intrinseca fragilità. Quale? La mancanza di un soggetto principale grande che facesse da guida all'alleanza e la tenesse unita. È proprio partendo da tale considerazione che decidemmo di passare dall’Ulivo al Partito democratico, in modo che il centrosinistra plurale e largo avesse il suo punto di solidità in un soggetto forte che fungesse da perno e da soggetto aggregatore di una coalizione larga. E oggi ancora di più serve un Pd forte al servizio di una coalizione progressista in grado di raccogliere un consenso maggioritario nel Paese e di mettere l'Italia al riparo da avventure. @FDepalo
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