Sono trascorsi diciotto anni da quando, nel 2004, il Parlamento ha istituito il 10 febbraio la "Giornata del Ricordo" degli eccidi delle foibe e dell'esodo di 350.000 italiani dall'Istria e dalla regione giuliano-dalmata. Diciotto anni portati con estrema dignità e che hanno via via accresciuto nella opinione pubblica la conoscenza e la consapevolezza di una pagina di storia a lungo ignorata e spesso negata. Diciotto anni in cui Slovenia e Croazia sono diventati membri dell'Unione, abbattendo quella cortina di ferro che da Stettino a Trieste ha lacerato per decenni l'Europa.
Non è la giornata del rancore o peggio della vendetta. Lo ha dimostrato in modo esemplare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 13 luglio del 2020 recandosi a Trieste per celebrare la restituzione alla comunità slovena del Narodni Dom, la casa del popolo incendiata cento anni prima dallo squadrismo fascista, e poi alle foibe di Basovizza dove, mano nella mano con il presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor, ha reso onore alle vittime italiane della violenza titina e ai giovani sloveni trucidati a poca distanza da lì, dal fascismo nel 1930. Non era mai successo che un capo di Stato di un paese della ex Jugoslavia rendesse omaggio ai nostri morti della Seconda Guerra Mondiale. Atti che richiamano alla mente analoghi gesti di grande valore morale, come l'omaggio di Francois Mitterrand e Helmut Kohl al sacrario di Verdun, città simbolo di due guerre mondiali. E come la scelta di Willy Brandt di inginocchiarsi di fronte al monumento alle vittime del ghetto di Varsavia. Giornata del "ricordo" per mettere fine a una troppo lunga doppia rimozione di chi, a sinistra, per ragioni ideologiche o di realpolitik ha teso a ridurre foibe e esodo alle inevitabili conseguenze di una guerra perduta; e di chi, a destra, ha usato strumentalmente il dramma delle foibe e dell'esodo per rimuovere l'aggressione bellica del regime fascista alla Jugoslavia. Con la Giornata del Ricordo si è voluto superare quella contrapposizione affermando una lettura condivisa di una pagina drammatica che appartiene alla storia nazionale. Le guerre portano sempre con sé un carico di dolore, sofferenze, ingiustizie. E le fasi finali di un conflitto sono i momenti più drammatici, quando i vincitori si considerano liberi da ogni umanità e legge morale e i vinti sono sottoposti a ogni forma di umiliazione e violenza. Così fu anche su quel confine orientale nel '45 e negli anni dell'immediato dopoguerra. Quando sugli italiani che da generazioni vivevano in quelle terre si abbatté la furia vendicativa di popolazioni slovene e croate che avevano subito la violenza dell'occupazione fascista. E quando Tito perseguì con brutale determinazione l'annessione dell'Istria e dalla Venezia Giulia, costringendo la popolazione italiana ad un esodo di massa. Una tragedia figlia di totalitarismo e nazionalismo - ideologie entrambe negatrici in radice della libertà e della dignità dell'uomo - che hanno devastato ripetutamente l'Europa e i suoi popoli. Si pensi alla espulsione di massa nel '45 della popolazione tedesca dai Sudeti e dall'oltre Oder polacco. E si pensi a come trent'anni fa i popoli dei Balcani furono travolti da ogni forma di violenza di cui il massacro di Srebrenica è il tragico simbolo. Tragedie che ci ammoniscono a mai dimenticare che pulizia etnica, deportazioni di massa, annientamento violento di identità sono aberrazioni che negano il diritto di ogni popolo e di ogni persona a vivere la propria identità senza costrizione e senza paura. Tragedie che ci ammoniscono a rifiutare la tesi di Stati fondati sulla omogeneità etnica, quando da sempre la vita delle nazioni democratiche è fondata sul riconoscimento e la convivenza di popoli, religioni, culture, civiltà. E sul valore della pluralità è fondata l'Unione europea che nacque proprio per superare definitivamente le guerre, gli odi, le negazioni che per secoli hanno insanguinato il continente europeo. Fu Jacques Delors, uno dei padri dell'integrazione europea a definire la UE una "federazione di minoranze", capace di garantire a ogni cittadino e a ogni comunità del continente il pieno riconoscimento dei diritti individuali e collettivi, nonché la preservazione del patrimonio storico e culturale in cui ogni persona e ogni popolo si riconosce. Costruire l'Unione attraverso il ricordo, anche doloroso, di lutti e tragedie è condizione necessaria perché le sofferenze del passato non si ripetano più, assicurando così a tutti gli europei un futuro di pace e prosperità condivisa.
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